Intelligenza ereditaria: perché i figli la ricevono principalmente dalla madre

Rita Guida
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Rita Guida
Rita è una cercatrice di tracce nascoste e dettagli sfuggiti ai più, scrive di storia, curiosità culturali e stranezze del mondo contemporaneo con un mix irresistibile...
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La scienza lo conferma: gran parte dell’intelligenza dei nostri figli viene trasmessa geneticamente dalla madre. Questa scoperta, supportata da numerosi studi, sta rivoluzionando la nostra comprensione dell’ereditarietà delle capacità cognitive.

Secondo la ricerca, circa il 50-60% dell’intelligenza è determinata geneticamente, e una porzione significativa di questi geni proviene dalla madre. Non si tratta solo di credenze popolari, ma di fatti scientifici supportati da prove che hanno messo in discussione convinzioni radicate da generazioni.

Ma cosa rende così speciale il contributo materno all’intelligenza dei figli? E qual è il ruolo del padre in questo affascinante meccanismo biologico? Scopriamolo insieme.

Il ruolo del cromosoma X: il segreto dell’intelligenza ereditata

Il motivo principale per cui le madri trasmettono maggiormente l’intelligenza ai figli risiede nella biologia dei cromosomi. I geni responsabili dell’intelligenza si trovano principalmente sul cromosoma X. Le donne possiedono due cromosomi X, mentre gli uomini ne hanno solo uno (XY).

Questa differenza fondamentale significa che le madri hanno una probabilità doppia di trasmettere i geni dell’intelligenza ai propri figli. Il pioniere in questo campo fu Robert Lehrke, che per primo ipotizzò come l’intelligenza fosse principalmente un “dono” trasmesso dalla madre.

Uno studio condotto dall’Università di Ulm ha analizzato i geni coinvolti nei danni cerebrali, scoprendo che la maggior parte di quelli connessi con le abilità cognitive si trova proprio sul cromosoma X.

I “geni condizionati”: quando l’origine parentale fa la differenza

Un concetto chiave per comprendere questo fenomeno è quello dei “geni condizionati”. Questi geni portano delle etichette biochimiche che determinano se saranno attivi o inattivi a seconda che provengano dalla madre o dal padre.

Nel caso dell’intelligenza, molti di questi geni si attivano solo quando provengono dalla madre, mentre tendono a “spegnersi” se ereditati dal padre. Un esperimento affascinante condotto sui roditori ha evidenziato questo fenomeno:

  • I topi con una dose massiccia di geni materni sviluppavano cervelli più grandi ma corpi più piccoli
  • I topi con una dose extra di geni paterni presentavano corpi più grandi ma cervelli più piccoli

Questa scoperta ha rappresentato una forte evidenza a sostegno della teoria dell’ereditarietà materna dell’intelligenza.

Le prove scientifiche che confermano la teoria

Numerose ricerche hanno fornito prove concrete a sostegno di questa teoria. Una ricerca tedesca ha dimostrato che il miglior indicatore per prevedere il quoziente intellettivo di un bambino è il QI della madre, non quello del padre o di altri parenti.

Particolarmente interessanti sono stati gli studi sui bambini adottati. I ricercatori hanno osservato che figli cresciuti con la stessa madre tendono ad avere un QI simile al suo, indipendentemente dal fatto di condividere o meno il patrimonio genetico.

Un’altra ricerca dell’Università di Washington ha scoperto che i bambini di 13 anni sostenuti emotivamente dalla madre hanno un ippocampo (l’area cerebrale adibita a memoria e apprendimento) il 10% più sviluppato rispetto a chi non gode di un rapporto rassicurante con la figura materna.

Oltre la genetica: l’importanza dell’ambiente e dell’educazione

Se la genetica influisce sull’intelligenza per il 50-60%, non dobbiamo dimenticare che il restante 40-50% dipende dall’ambiente, dall’educazione e dalle esperienze di vita. In questo, le madri giocano nuovamente un ruolo fondamentale:

  • Il tempo trascorso insieme nei primi anni di vita stimola lo sviluppo cognitivo
  • Il supporto nello sviluppo scolastico e nei compiti quotidiani rafforza le capacità intellettive
  • La creazione di un rapporto sicuro e il contatto fisico favoriscono lo sviluppo delle capacità cerebrali
  • L’esposizione a stimoli culturali come lettura, arte e musica contribuisce allo sviluppo dell’intelligenza

E il papà? Il contributo paterno all’intelligenza

Nonostante l’intelligenza sia principalmente influenzata dai geni materni, il padre non è affatto escluso da questo processo. Dal padre si ereditano i geni legati a funzioni diverse ma altrettanto importanti per lo sviluppo cognitivo complessivo.

I geni paterni tendono ad influenzare maggiormente funzioni irrazionali della psiche come l’intuizione e l’intensità delle emozioni, aspetti ugualmente fondamentali per le abilità intellettive in senso ampio.

Curiosamente, uno studio suggerisce che gli uomini che diventano padri in età avanzata potrebbero avere figli con un quoziente intellettivo più elevato, maggiore ambizione e notevole capacità di concentrazione, sebbene possano manifestare alcune difficoltà nei rapporti sociali.

Sfatiamo un mito comune

È importante sfatare l’idea radicata nell’immaginario collettivo secondo cui ai figli verrebbe trasmessa la sensibilità dalla madre e l’intelligenza dal padre. La ricerca scientifica dimostra esattamente il contrario: la dose di intelligenza trasmessa geneticamente proviene maggiormente dalla madre.

Questo non significa sminuire il ruolo paterno, ma semplicemente riconoscere i diversi contributi che entrambi i genitori apportano allo sviluppo cognitivo ed emotivo dei figli, creando insieme quella combinazione unica che rende speciale ogni bambino. Recenti scoperte scientifiche hanno persino dimostrato che le cellule dei figli rimangono nel corpo della madre per tutta la vita, in un legame biologico che va ben oltre la nascita.

Rita è una cercatrice di tracce nascoste e dettagli sfuggiti ai più, scrive di storia, curiosità culturali e stranezze del mondo contemporaneo con un mix irresistibile di ironia e rigore. Su Quel che non sapevi propone articoli che sorprendono e incuriosiscono, decisa a sfatare luoghi comuni e stimolare la voglia di approfondire, perché alla fine, dice lei, ciò che impariamo per caso è spesso quello che ci resta più impresso.
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